(+39) 055-489597 oppure (+39) 055-4620117 cedit@cedit.org

Riscoprire le proprie origini toscane pur provenendo dall’altra parte del mondo. E’ questo il senso del progetto “Mario Olla”, un percorso di formazione di 90 giorni durante il quale 12 ragazzi svolgono uno stage in azienda, conoscono o perfezionano il loro italiano e vedono da vicino i luoghi che magari sono stati oggetto solo di racconti. Questo grazie ai fondi messi in campo da Regione Toscana e grazie anche al coordinamento dell’agenzia CEDIT, che ha impiegato le proprie professionalità per rendere possibile questi inserimenti della durata di 90 giorni per giovani tra i 18 e i 35 anni con origini italiane. Fin qui la teoria, ma per capire come stia andando nella pratica abbiamo deciso di intervistare uno dei borsisti: si tratta di Lucia Gandolfi, 26enne psicologa argentina, che sta affrontando uno stage in una fondazione legata alla Misericordia di Firenze. Un percorso di crescita professionale ma anche di emozionante scoperta delle proprie origini.

Ciao Lucia, da dove viene la tua famiglia?

Io vengo da Bariloche, nella Patagonia argentina: la mia famiglia toscana è di Poggibonsi, perché il mio bisnonno è nato lì e poi è giunto in Argentina. Ho imparato l’italiano dai miei nonni e anche a scuola: qui a Firenze siamo andati a lezione alla London School per migliorare ancora e saper parlare sul lavoro.

Come hai saputo di questo progetto?

Mia mamma mi parlava sempre di Mario Olla: lei è membro dell’Associazione Toscana Bariloche e mi ha sempre invitato ad andare agli incontri con gli italiani, a cui ho preso parte. Nel 2015 ho iniziato a interessarmi di più e dopo la laurea ho deciso di iscrivermi al progetto. Per me è la prima volta in Italia.

Sei già stata a Poggibonsi?

No, sono stata a Siena, che è bellissima. Devo per forza andare per visitare la chiesa dove c’è il nome del mio bisnonno.

In Italia cosa stai facendo?

A Firenze sto facendo lezioni sulla cultura e sto affrontando uno stage in una fondazione sanitaria – la San Sebastiano – dipendente dalla Misericordia di Firenze.

Come ti trovi?

Mi piace tanto, mi dà la possibilità di seguire persone con disabilità intellettuali. Vado lì 36 ore settimanali, dal lunedì al venerdì: facciamo diverse attività coi ragazzi, dal sociale al cognitivo alla parte fisioterapica.

Quando tornerai in Argentina cosa ti porterai?

Credo che non mi basterà la valigia che ho adesso – sorride – perché mi porterò questi ricordi nel cuore. Conoscere la cultura della sanità del paese della mia famiglia è molto importante; trovo le mie radici, coltivo i miei interessi e accumulo esperienza lavorativa. I miei nonni mi hanno raccontato tantissime cose ma non è la stessa cosa di stare qui e vivere qui: i miei colleghi sono educatori ed è un ruolo che in Argentina non esiste; questo mi consente di guardare la mia professione con un’ulteriore prospettiva.

Coi tuoi compagni di progetto come sta andando?

Proveniamo da ambiti diversi e questo ci arricchisce perché ci confrontiamo. Abbiamo poi preso l’abitudine di andare al paese dove è nato il nonno o la nonna di qualcuno di noi, così conosciamo la Toscana.

Cosa ti piace di più della Toscana?

Il cibo e tutta quella “cerimonia” che lo accompagna: si gode dallo stare insieme.