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La sua esperienza personale e lavorativa è la dimostrazione di quanto – in un’azienda a guida familiare – sia fondamentale far convivere l’esperienza dei “vecchi” con la creatività dei giovani. Valeria Losi, laureata in economia e commercio ed esponente della quarta generazione della famiglia Losi (proprietaria dell’omonima azienda agricola di Castelnuovo Berardenga) prima di prendere le redini del “reparto” esportazioni della sua attività, ha fatto un percorso di internazionalizzazione in giro per l’Europa; questo allo scopo di conoscere anche i meccanismi – e le relative culture – di acquisto degli altri paesi, visto che la sua azienda vende vino e olio in tutto il mondo. Ha visto come si lavora “dall’altra parte” e questi insegnamenti li ha riportati a Castelnuovo, dove l’azienda di famiglia ha iniziato a esportare vino Chianti classico in tutto il mondo. E per questa sua serie di esperienze, è stata scelta come testimonial dell’evento finale del progetto Sufabu, di cui Cedit è partner. Si tratta di un’iniziativa all’interno di Erasmus +, finanziata con fondi europei allo scopo di individuare metodi per rendere meno traumatica possibile – e quanto più foriera di risultati – la successione familiare in azienda.
L’azienda agricola Losi è alla quarta generazione e può dimostrare come l’esperienza e l’esempio degli anziani possano convivere con le novità introdotte dai più giovani.

Dottoressa Losi, come ha iniziato il suo percorso lavorativo?

Io ho avuto una grande fortuna, sin da piccola, perché già negli Anni 90 la mia famiglia ha iniziato ad esportare vino e olio all’estero; senza contare che già all’epoca clienti dalla Germania e dagli Usa ci venivano a trovare. Questo grazie ad alcuni italiani all’estero,che per noi sono stati come degli ambasciatori. Queste influenze mi hanno spinto verso lo studio delle lingue, che ritengo fondamentale per aprirsi all’estero. Sentivo comunque che mancava qualcosa e grazie all’Università di Siena ho fatto un Erasmus e uno stage in un’agenzia che importava vini francesi in Germania. Tutto ciò mi ha consentito di ampliare il mio linguaggio tecnico e addentrarmi ancor più all’interno del settore del vino. E mi ha permesso di aprirmi la mente.

In che senso?

La lingua è fondamentale, perché metti a suo agio il cliente. E anche conoscere le pratiche commerciali e di marketing, che non sono uguali per tutti. Fare esperienza sulla propria pelle offre un quid in più nel tuo bagaglio quando rientri in azienda. E devo dire che mi ha aiutato molto, perché adesso vendiamo in circa una ventina di paesi al mondo: Vietnam, Hong Kong, Taiwan, Perù, Brasile, Stati Uniti e ovviamente Europa.

Quindi questo percorso è servito per mettere delle basi solide nel futuro dell’azienda?

Sì, oggi il settore del vino è iper competitivo, basti solo pensare che il Chianti Classico ha 350 produttori, che etichettano e rivendono. Oggi come oggi è difficile fare vino cattivo, quindi il segreto sta nell’offrire qualcosa in più che ti differenzia dagli altri e ti dà il successo. Da questo punto di vista avere una visione globale è necessario.

Lei è stata testimonial del progetto Sufabu: che idea si è fatta?

È una bella iniziativa, di respiro europeo e internazionale. Sicuramente il passaggio generazionale, per questioni normative e legislative, è molto complesso. Per cui mi sento di consigliare di approfondirne ogni aspetto, come è stato fatto all’interno di Sufabu.